Una posizione che minaccia i diritti della rete, tutelati invece dalla direttiva comunitaria del commercio elettronico del 2003, la vicenda che contrappone Fapav (Federazione anti pirateria audiovisiva) a Telecom Italia e ai suoi utenti peer to peer.
"L'industria del copyright ha fatto una cosa grave", dice Paolo Nuti, presidente di Aiip, la principale associazione provider. Fapav chiede a un giudice di imporre a Telecom Italia due cose: di ostacolare le attività pirata dei propri utenti e di filtrare alcuni siti; e se Telecom non lo farà dovrà pagare 10 mila euro per ogni giorno di inadempienza. "Insomma, mira a trasformare gli operatori internet in sceriffi della rete, a caricarli di una responsabilità, su quello che fanno i loro utenti - continua Nuti -. Ma è una posizione che minaccia i diritti della rete, tutelati invece dalla direttiva comunitaria del commercio elettronico del 2003, dov'è ribadita la non responsabilità dei fornitori di servizi". "Vediamo una serie di mosse contro questo diritto: anche nel decreto Romani, dove si abilitano le autorità a obbligare i fornitori a bloccare contenuti audio-video presenti su internet", continua Nuti. Finora il mondo internet è cresciuto perché si sono tenute separate le responsabilità degli utenti da quelli dei fornitori di servizi (provider internet o gestori di portali di contenuti come YouTube). Se i fornitori fossero caricati di responsabilità sarebbero spinti a un giro di vite, per evitare problemi, e quindi a censurare preventivamente alcuni contenuti o siti. In più sarebbero costretti a vigilare sulle attività degli utenti, a mo' di poliziotti, appunto, con buona pace della privacy. Una piega temuta dai provider dal Garante e dai consumatori: "Secondo noi l'industria del copyright sta calpestando i diritti inviolabili degli utenti, nel caso Fapav", dice Marco Pierani, responsabile rapporti istituzionali di Altroconsumo. "In questo caso, in modo ancora più grave che nella vicenda Peppermint: Fapav ha coinvolto molti più utenti e ha scavato più a fondo nelle loro attività", continua Pierani.
Nel ricorso presentato da Fapav al tribunale si legge che sono stati monitorati "centinaia di migliaia" di utenti Telecom Italia e che di loro sono state scoperte due cose: quali film hanno scaricato e condiviso e persino su quali siti hanno navigato. "Secondo noi Fapav non ha solo trasgredito le norme della privacy, ma anche il codice penale: per scoprire quelle cose ha violato il domicilio informatico degli utenti, reato punibile con carcere fino a sei anni", dice Nuti, e questa sarà la posizione Aiip al tribunale il 10 febbraio. In particolare, "è grave la seconda azione, l'aver scoperto i siti degli utenti. Un'informazione che nemmeno l'operatore può conoscere", si legge nella contro memoria depositata da Telecom per il processo.
Telecom per questo motivo respinge le richieste di Fapav, perché "basate su prove raccolte illegittimamente". Fapav ha scoperto i file condivisi dagli utenti tramite i servizi di CoPeerRight, azienda specializzata che è entrata sulle reti peer to peer con un proprio software di monitoraggio. È giallo invece su come Fapav abbia potuto conoscere i siti visitati.
L'unico modo per ottenerla sarebbe di introdurre un malware spia sui pc degli utenti, azione di vera e propria pirateria informatica.